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Clima e Agricoltura

Evidenza degli impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura in tre realtà diverse.

Impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura in Europa

Impatti del cambiamento climatico sulle tre filiere nelle aree di Life ADA

Impatti del cambiamento climatico in Emilia-Romagna: analisi sul fabbisogno idrico nel settore agricolo

Impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura in Europa

La produzione agricola dipende fortemente dalle condizioni climatiche. Variazioni della temperatura media e delle precipitazioni, nonché condizioni meteorologiche e climatiche estreme, stanno già influenzando la produttività agricola e zootecnica in molte regioni europee (EEA, 2019).

Le proiezioni climatiche mostrano che la maggior parte dell’Europa sperimenterà livelli di riscaldamento più elevati della media globale; tuttavia, sono previste forti differenze territoriali in tutte le regioni europee (IPCC, 2018).

La valutazione degli impatti del cambiamento climatico futuro sul settore agricolo risulta piuttosto complicata poiché tali impatti possono essere positivi o negativi, a seconda delle specie considerate, delle regioni geografiche interessate e in base a numerosi fattori, come gli impatti fisici (determinati da variazioni di temperatura, struttura delle precipitazioni e concentrazione di CO2 atmosferica), i cambiamenti degli agro-ecosistemi (perdita di impollinatori e aumento dell’incidenza di parassiti e malattie) e le risposte di adattamento dei sistemi.

Potenziali effetti positivi legati all’aumento delle temperature sono attesi soprattutto nel Nord Europa, mentre per il Sud Europa si prospettano una riduzione della produttività delle colture e un aumento del rischio per il settore zootecnico. In generale, l’aumento della temperatura può causare un’accelerazione nello sviluppo fenologico, con una riduzione del tempo di assimilazione della biomassa e di conseguenza una resa inferiore. In alcune zone, temperature più alte permetteranno la coltivazione di nuove colture/varietà. I cambiamenti previsti nelle precipitazioni durante le più importanti fasi dello sviluppo colturale potrebbero contrastare gli effetti negativi dell’aumento delle temperature o, in altri casi, amplificarli.

Per poter affrontare queste variazioni è necessario mettere in campo azioni di adattamento che contrastino e/o sfruttino le mutate condizioni climatiche. Le prospettive sono numerose e il settore agricolo europeo si sta dimostrando preparato, sia grazie ai numerosi progetti dell’Unione Europea dedicati a questo tema, sia grazie alle attività autonome di singoli agricoltori. Di seguito viene proposta una vasta raccolta di azioni di adattamento realizzate in aziende agricole di tutta Europa, consultabile anche su mappe tematiche a questi link:

Best practices in Europe

Impatti del cambiamento climatico sulle tre filiere nelle aree di Life ADA

(Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lazio)

Lo studio degli impatti del cambiamento climatico futuro sul settore agricolo è complesso poiché implica analisi che devono tenere in conto molteplici fattori e le loro interazioni.

Per questo motivo, al fine di ottenere una valutazione quantitativa e di dettaglio degli impatti del cambiamento climatico nelle zone di Life ADA è risultato essenziale produrre casi di studio focalizzati su specifiche colture agrarie e su specifiche aree geografiche. Infatti, per quanto possibile, l’analisi degli impatti del cambiamento climatico qui proposta considera gli effetti combinati di variazioni di temperatura e andamento delle precipitazioni che, come noto, influenzano i cicli colturali e hanno impatti differenti nelle varie regioni europee.

In particolare sono stati valutati dieci casi di studio che analizzano le tre filiere agroalimentari del progetto Life ADA (vitivinicola, ortofrutticola e del Parmigiano-Reggiano) nelle quattro regioni italiane considerate (Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio). Per ogni caso di studio sono state fornite previsioni dei consumi irrigui e di altre grandezze di interesse agro-ambientale per alcune colture legate alle tre filiere, in riferimento al trentennio futuro 2021-2050 rispetto al clima 1971-2000.

In generale, in Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio, si è riscontrato un aumento delle temperature e un decremento delle precipitazioni, pur con differenze a livello regionale e locale. Queste variazioni del clima hanno impatti diversificati non solo in base alle aree geografiche ma anche in relazione al tipo di coltura, per questo motivo i risultati dell’indagine e maggiori dettagli sono di seguito suddivisi per filiera.

Per saperne di più sullo studio eseguito da
ARPAE  Emilia-Romagna si riporta il report integrale:

“Report on the impact of climate change over the selected supply chains in the four participating regions”

Casi studio: Appennino romagnolo (Emilia-Romagna), provincia di Treviso, Colline del Chianti (Toscana) e Colli Albani (Lazio).

Per quanto riguarda il cambiamento climatico relativo alle zone della filiera vitivinicola, pur osservandosi in tutte le aree un deciso aumento delle temperature soprattutto nel periodo estivo e una diminuzione delle precipitazioni nei periodi primaverile ed estivo, i territori situati a latitudini più meridionali appaiono sicuramente più esposti agli impatti del cambiamento climatico, poiché già caratterizzati da un clima più caldo e siccitoso che sarà soggetto a un ulteriore peggioramento.

L’incremento delle temperature e dei periodi siccitosi potrebbe dunque produrre effetti negativi sulla filiera vitivinicola non solo in base alle aree geografiche ma anche alla tipologia di vitigno: incremento della necessità di irrigazioni di soccorso (per tutti i vitigni), possibili ripercussioni negative sul profilo aromatico (per i vitigni a bacca bianca) e varie conseguenze legate al ciclo fenologico, come l’anticipo del germogliamento, con incremento del rischio di danni in caso di gelate primaverili, l’anticipo della maturazione tecnologica (zuccheri e acidità) che rischia di non essere in sincronia con lo sviluppo dei composti fenolici e l’anticipo della vendemmia, che può risultare problematico per la gestione delle operazioni di cantina con temperature elevate.

Mentre per l’uva a bacca nera il rischio più elevato è legato alla necessità di maggiori interventi irrigui per evitare l’avvizzimento delle bacche, per le uve bianche il rischio climatico comprende anche la perdita di vocazionalità territoriale determinata dal peggioramento delle caratteristiche organolettiche tipiche dei vini prodotti da queste varietà, dovuto agli effetti delle ondate di calore.

Al tempo stesso le variazioni previste potrebbero portare alcuni vantaggi alla filiera: la riduzione delle precipitazioni può ridurre il rischio di malattie fungine e quindi la necessità di trattamenti, mentre le temperature elevate possono avere un impatto positivo sulla qualità dei vitigni a bacca nera nelle aree più settentrionali.

Alla luce degli effetti del mutamento climatico nelle diverse aree, anche in relazione ai vitigni e ai vini caratteristici, si può affermare che mentre al sud anche in futuro le azioni di adattamento avranno prevalentemente come finalità l’aumento dell’apporto irriguo, nelle aree dove al momento sono prevalenti vini bianchi con caratteristiche di elevata acidità e aromi, verranno implementate azioni di adattamento principalmente volte a conservare tali caratteristiche.

Casi studio: Reggio Emilia e Parma.

Nella filiera del Parmigiano-Reggiano, le proiezioni climatiche primaverili ed estive relative alla zona del comprensorio danno come probabile una variazione intensa sia per gli aumenti di temperatura sia per la diminuzione delle precipitazioni.

Le colture attualmente utilizzate per l’alimentazione animale della filiera del Parmigiano-Reggiano hanno un ciclo di crescita primaverile-estivo, stagioni nelle quali le proiezioni climatiche stimano il cambiamento più intenso nei parametri sopra citati, prospettando un peggioramento di fenomeni che già si osservano nei dati analizzati e che concorrono all’aumento dell’evapotraspirazione e di conseguenza delle esigenze irrigue.

Per tali colture sembrano quindi inevitabili notevoli aumenti degli apporti idrici e miglioramenti nell’efficienza dei metodi irrigui. Un’azione di adattamento più complessa, in riferimento alla gestione della filiera, potrebbe essere quella della ricerca di colture foraggere di sostituzione con sviluppo autunno-vernino, periodo caratterizzato da un andamento meteo-climatico favorevole allo sviluppo delle colture senza necessità di restituzioni irrigue.

Va considerato inoltre che gli anni a maggiore richiesta irrigua sono generalmente gli stessi in cui si riscontra minore disponibilità di risorse idriche e quindi maggiore competizione di risorse, come si è già verificato nelle stagioni irrigue 2003, 2007, 2012 e 2017. In vista dell’incremento della frequenza di questa tipologia di stagioni siccitose è necessario valutare come rendere più sostenibile l’irrigazione dei prati stabili, in primo luogo abbandonando il metodo irriguo tradizionale (la sommersione per scorrimento) in favore di una irrigazione più efficiente e sostenibile come l’aspersione.

La conservazione di questo prodotto di eccellenza gastronomica dipenderà dalla possibilità di avere una maggiore disponibilità di apporti idrici e un incremento nell’efficienza dell’irrigazione, considerando che negli anni a più elevata richiesta irrigua si assiste anche a una maggiore competizione tra settori.

Casi studio: Ravenna, Verona, Latina (kiwi), Podenzano e Grosseto (pomodoro).

Per un’analisi della filiera ortofrutticola sono state studiate due colture rappresentative delle zone di Life ADA: il kiwi e il pomodoro.

La coltura del kiwi, che a differenza di altre colture frutticole mantiene ancora oggi una sufficiente redditività, è soggetta ad alcune criticità, in relazione alle proprie specifiche caratteristiche fisiologiche, non ultima l’elevata richiesta idrica. Queste esigenze sono state finora soddisfatte con azioni di adattamento territoriale (laghetti) e colturale (miglioramento delle tecniche irrigue); ciononostante, gli elevati fabbisogni irrigui, alla luce del cambiamento climatico in atto e previsto, continuano a rappresentare un fattore di rischio nella diffusione della coltura.

Dalle elaborazioni si evince come gli effetti più gravi del mutamento climatico si manifestano con maggiore intensità sulla precipitazione sia in termini assoluti sia in termini relativi nelle aree più a sud, con differenze anche sostanziali tra le varie aree dei casi studio: le maggiori criticità si prospettano per le aree di Brisighella e Latina, mentre nel veronese si presenta la situazione meno allarmante.

Un ulteriore rischio climatico è quello dei ritorni di freddo primaverili che, come accaduto negli ultimi anni, possono produrre danni ingenti. Nonostante l’aumento termico generale, non è previsto un calo della frequenza di questi eventi, in seguito a due tendenze concomitanti: l’aumento delle temperature invernali che accelerano lo sviluppo fenologico e producono un anticipo nella comparsa delle fasi fenologiche a rischio (germogliamento e fioritura) e l’aumento della variabilità climatica primaverile che produce, sempre in un ambito di temperature medie in aumento, casi di ritorni di freddo sempre più frequenti.

Il pomodoro è una coltura molto diffusa in Italia e rappresenta un’eccellenza dell’agroindustria. Si consideri che nel 2021 nel Nord Italia le superfici destinate a pomodoro sono state di 38.621 ha, di cui il 70% in Emilia-Romagna, con trasformazione in 25 stabilimenti, che rappresentano circa il 50% del totale prodotto in Italia. La coltura del pomodoro ha infatti trovato in Emilia-Romagna condizioni pedo-climatiche favorevoli all’ottenimento di produzioni elevate e con caratteristiche idonee alla trasformazione.

Attualmente le condizioni climatiche medie sono ancora favorevoli per un idoneo sviluppo della coltura, esistono però alcuni rischi climatici che possono creare danni alla coltura, come le ondate di calore. Se da un lato le maggiori richieste irrigue possono essere soddisfatte da azioni di adattamento volte a rendere più efficienti le tecniche irrigue e aumentare la risorsa disponibile, dall’altro, le ondate di calore determinano problematiche di diversa natura, più difficili da affrontare; temperature massime che per diversi giorni superano i 33-35°C, unite a elevato irraggiamento, possono produrre scottature sulle bacche e diminuzione della pigmentazione, rendendo il prodotto meno idoneo alla trasformazione.

Il pomodoro, nell’ambito della filiera ortofrutticola, appare la coltura con l’incremento più contenuto delle esigenze irrigue tra il vecchio clima (1971-2000) e il clima presente; questo è imputabile anche all’accorciamento del ciclo fenologico dovuto all’aumento generalizzato delle temperature.

Le proiezioni di irrigazioni presentano infatti incrementi modesti in entrambe le zone studiate. Alla luce di queste considerazioni, la risorsa idrica non sembra l’elemento più critico nella coltivazione, a differenza dell’aumento delle ondate di calore, che risulteranno più severe nelle aree meridionali.  Questo incremento delle temperature ha conseguenze sulla qualità del prodotto trasformato poiché può determinare un’alterazione della qualità della bacca.

Impatti del cambiamento climatico in Emilia-Romagna: analisi sul fabbisogno idrico nel settore agricolo

La regione Emilia-Romagna è caratterizzata da una forte vocazione agricola; l’area di pianura si estende per circa 1.160.000 ha (50% della superficie totale), di cui mediamente 800.000 ha sono destinati a uso agricolo. Il fabbisogno irriguo per una porzione così vasta di territorio è ingente e, alla luce dell’incremento del rischio di siccità dato dal cambiamento climatico, è necessario studiare consumi ed esigenze irrigue delle colture presenti in regione.

Le porzioni maggiori di superficie agricola sono destinate a colture erbacee estive, seguite dalle erbacee autunno-vernine e dalle erbacee da pascolo, come medica e prati stabili. La classe colturale delle frutticole e viticole occupa tra il 9% e 10% della superficie totale, con variazioni minime tra un anno e l’altro.

La distribuzione delle colture sul territorio è fortemente differenziata e tra le colture più idroesigenti si annoverano: le frutticole nell’area romagnola, il pomodoro nel piacentino, i prati stabili per la filiera del Parmigiano-Reggiano tra Modena e Reggio Emilia, il mais a Bologna e Ferrara.

Le esigenze irrigue di queste colture interessano prevalentemente il periodo estivo, ma per una stima complessiva del fabbisogno irriguo è necessario prendere in considerazione ulteriori richieste che i vari consorzi di bonifica devono soddisfare, anche in altre fasi dell’anno: il mantenimento delle zone umide, la difesa dalle gelate tardive (in particolare nell’area romagnola) e le irrigazioni per le colture primaverili precoci o in serra.

Secondo una stima fornita dal Piano di Tutela delle Acque della Regione Emilia-Romagna, i consumi irrigui complessivi sul territorio regionale si attestano mediamente intorno agli 800 milioni di metri cubi l’anno, pari al 56% del consumo totale di acqua in regione, ma con forte variabilità interannuale a seconda delle criticità delle risorse idriche, che possono portare, nelle annate più siccitose, a una forte competizione tra l’uso agricolo, quello industriale e quello civile, come avvenuto nel 2012.

Il cambiamento climatico sta infatti incrementando la frequenza delle annate siccitose nel periodo invernale e primaverile, che portano a un valore fortemente negativo del bilancio idroclimatico a inizio estate, quando maggiore è la richiesta di risorse idriche da parte del settore agricolo: negli ultimi anni questa situazione si è verificata negli inverni 2006/2007, 2011/2012 e 2016/2017. In alcuni casi gli eventi siccitosi non sono uniformi sul territorio ma presentano caratteri differenziati, come nel caso del 2017, più grave in Emilia e meno in Romagna. All’aumento di siccità si aggiunge inoltre un incremento delle frequenze delle ondate di calore estive, che comportano un aumento delle necessità irrigue, anticipi nella fioritura dei frutteti, maggiore rischio di gelate tardive, con conseguente incremento della richiesta irrigua per la difesa delle gelate tardive.

Tutti questi elementi fanno emergere la necessità di numerose azioni di adattamento per fronteggiare la crisi idrica, come la corretta gestione dell’acqua a uso irriguo, la riduzione delle perdite in approvvigionamento, la scelta di colture meno idroesigenti o più adatte a resistere al cambiamento climatico, la disponibilità di servizi climatici per la previsione delle richieste irrigue, sono e saranno elementi fondamentali negli anni a venire.

Su questo fronte, ARPAE Emilia-Romagna ha sviluppato un sistema di previsione del fabbisogno irriguo estivo delle colture, iCOLT (Irrigazione delle COLture in atto classificate con il Telerilevamento). Questo servizio climatico è il risultato della combinazione di un modello di bilancio idrico del suolo integrato con previsioni probabilistiche stagionali e analisi di dati satellitari che permette di valutare in anticipo le esigenze irrigue estive a supporto del processo decisionale dei gestori della risorsa idrica in agricoltura.

Per saperne di più sullo studio eseguito da
ARPAE  Emilia-Romagna si riporta il report integrale:

“Analysis on the water needs in the agricultural sector in Emilia-Romagna”